sabato 28 maggio 2016

Verdena - "Verdena" - 1999

Sbucati da un pollaio (!?!) della provincia bergamasca, i Verdena, si inseriscono da subito nella fiorente scena italiana di metà-fine anni '90.
Al pari di band quali Marlene Kuntz, Bluvertigo, Subsonica, CSI, Afterhours ecc., divengono da subito alfieri del movimento alternativo del Belpaese.
Nel 1999, dopo qualche anno di doverosa gavetta, pubblicano il loro primo album omonimo.
La cover presenta uno strano personaggio che io stesso ho scoperto, poco tempo dopo, essere una delle sorprese contenute... negli ovetti Kinder!!!
Questo per dire che i tre componenti della band sono veramente molto giovani, aspetto che incide non poco sull'economia generale dell'album.
Da cosa lo si nota? Tanto per iniziare, la voce di Alberto è ancora acerba, a tratti cantilenante. Per non parlare dei testi da lui stesso scritti che, intrisi di umori post-adolescenziali, sfiorano sovente il nonsense.
E la musica?

Già, la musica. L'appellativo di "Nirvana italiani" affibiatogli fin da subito, è un buon biglietto da visita per descrivere come suonino i Nostri.

Fin dall'opener "Ovunque" si percepisce chiaramente l'influenza della scena di Seattle che ormai è al capolinea: qui si parla già di post-grunge o, alternative rock.

Chitarra e sezione ritmica suonano compatte e decise, mentre la voce di Alberto passa da toni puliti ad altri più graffianti con una certa disinvoltura.

"Valvonauta" e "Pixel" sono la coppia d'oro del platter. Identica la loro durata (4:23) e molto simile il loro impatto.
Stiamo parlando rispettivamente del primo singolo assoluto dei Verdena e di una delle loro composizioni migliori dei primi anni.
"Valvonauta" possiede un riff che la rende subito riconoscibile e un ritornello acre.

"Sto bene se non torni mai...MAI!!!"
                                                                             La notevole "Pixel", dal canto suo, alterna una strofa morbida ad un refrain carico, che difficilmente passa inosservato. Da riascoltare fino alla nausea!
In quarta posizione in scaletta troviamo "L'infinita gioia di Herny Bahus", che non si diversifica molto da ciò che abbiamo ascoltato finora, ma si evidenzia in virtù del semplice, ma funzionale assolo centrale.

Spetta all'agrodolce ballad "Vera" smorzare lievemente i toni dell'album, toni che vengono subitaneamente risollevati dalla potente "Dentro Sharon", sostenuta da un buon lavoro della sezione ritmica.
Da segnalare che al minuto 2:44 la musica si ferma e una non identificata voce (il pupazzo rosso del booklet?) dice "ragazzi che solletico!". Simpatica trovata.



L'unica traccia strumentale contenuta in "Verdena" si intitola "Caramelpop"; noiosetta e a mio parere superflua.
Fortunatamente il livello si rialza subito con "Viba" dal refrain orecchiabile, che ti si stampa in mente subito e, non a caso, è stata scelta come secondo singolo. Il brano si chiude con una lievissima coda psichedelica appena accennata.
"Ultranoia" è, forse, la traccia più matura dell'album; il picchiettio delle bacchette di Luca ci accompagna fino all'energico ritornello e ad un finale che definirei sonico.
Ci pensa "Zoe" a far da contraltare al brano che la precede. Basso e batteria efficaci non sono sufficienti a salvare una canzone confusa e inconcludente.
"Bambina in nero" ricalca le orme di "Vera" dando un tocco di malinconia "a buon mercato".
In chiusura abbiamo "Eyeliner", traccia più lunga del disco che, nei suoi 6:52 minuti, incorpora tutti gli elementi che compongono questa prima prova discografica dei Verdena.
Cadenzata e convincente.

Degna chiusura per un album fatto di luci e (poche) ombre.