sabato 28 maggio 2016

Evanescence - "Fallen" - 2003

Evanescenza = capacità o arte dello svanire.

Troppo comodo prendersi il centro della scena e vivere di rendita.
Citofonare in Parlamento per chiedere conferma...
Tre album ufficiali in quindici anni di carriera rappresentano uno striminzito bottino, soprattutto se conseguenza del macigno di aspettative generato da "Fallen".
Scarsità di idee o onestà intellettuale?
Nel caso della band capitanata dalla piccola Venere diafana Amy Lee propenderei per la seconda ipotesi.
Il successo planetario ottenuto mediante la miscela Nu Metal + Gothic Rock odora (oggi più di allora) di strategia di mercato, di connubio infingardo e infallibile.

E' lecito supporre che tale espediente non collimasse (allora come oggi) con le aspirazioni artistiche della singer californiana.

Congetture campate in aria, certo, ma nessuno avrebbe potuto vietare agli Evanescence di sfornare dischi fotocopia ed arricchirsi alle spalle dei fans idolatranti. Così non è stato e, volenti o nolenti, il loro debutto resta anche il loro zenit assoluto visto da ogni prospettiva.

Decantare le lodi di pezzi come "Bring Me To Life" che nel 2003 udii canticchiare anche dal parroco del quartiere, di una "My Immortal" commovente pur nella sua fittizia goticità o di uno degli altri nove tasselli del mosaico avrebbe poco senso.

Basti sapere che la formula "strofa in crescendo / refrain a presa istantanea / bridge ad alto coefficiente melodico" non mostra quasi mai la corda e risulta particolarmente efficace in brani come "Going Under" e "My Last Breath".

Il resto lo fanno ganci modaioli, una voce perfetta per il genere ed un'elettronica che funge seconda pelle a composizioni dai lineamenti Pop.

Il successivo "The Open Door" risulterà solamente uno sbiadito epigono privo di una sicura direzione.
Per cui godetevi il lavoro migliore di una band assorta troppo precocemente al ruolo di cult e altrettanto rapidamente dimenticata.