sabato 28 maggio 2016

Scorpions - "In Trance" - 1975

Gli Scorpions sono noti ai più per la celebre ballad "Wind of change", sorta di inno pacifista degli anni '90 e, aspetto da non trascurare, singolo acchiappatutto e tutti.
Tre lustri addietro però, la giovane band tedesca iniziava a prendere coscienza delle proprie capacità e della via da intraprendere.
Dopo due album di scarso successo e dalle coordinate stilistiche ancora un po' vaghe, ecco irrompere sulle scene questo "In trance".
Primo di una serie di album dalla copertina "censurabile", ma dai contenuti decisamente ghiotti, presenta un hard rock melodico e dal grande appeal commerciale, con la capacità ed il buon gusto di non svendersi al mercato musicale.
Mica roba da tutti.

Si parte alla grandissima con "Dark Lady", in cui una sezione ritmica stellare e la chitarra shred di Uli Jon Roth non danno tregua all'ascoltatore che, catapultato di prepotenza in questa bolgia di suoni, non può far altro che lasciarsi rapire.

"In trance", allucinata power-ballad col suo refrain baciato dalla perfezione è uno dei punti più alti di un album che non conosce punti deboli. Da riascoltare allo sfinimento! E poi di nuovo!!!

Filosofeggia sulla vita e sulla bravura nel saper invecchiare la lenta "Life's like a river", introdotta da un assolo di stampo neoclassico e sostenuta dalla solita stratosferica coppia basso-batteria.

"Mentre gli anni passano il silenzio diventa tuo amico"

"Top of the bill" è spavalda e fa riferimento alla ricerca di fama e gloria che brucia dentro ogni gruppo rock. Degno di nota l'acuto solo di chitarra finale.
"Living and dying" ha un incedere quasi sabbathiano nella malinconica strofa e sfocia poi in un ritornello che trasmette epica solitudine.

Con "Robot Man" si prende il volo sorretti da un hard rock trascinante nel quale il protagonista di definisce un perdente. Rivincita dell'uomo sulle macchine che negli anni '70 stavano attentando all'utilità del genere umano?

"Evening wind", sibilante e piena di rimpianto, esibisce ancora una volta le doti di U.J. Roth alla chitarra solista che qui tocca il proprio apice.
La musica viene paragonata ad un sole luminoso all'interno della mano nella blueseggiante "Sun in my hand", dove un basso pachidermico ci accompagna dall'inizio alla fine. Song molto "Cream-oriented" (a me ricorda "Blue Condition" da Disrlaeli Gears) a dire il vero...

"Longing for fire" è un delizioso ed energico invito a seguire la propria strada. Qui la band di Hannover appare compatta come non mai e ci regala una prova corale degna di rispetto e applausi.

Chiude la strumentale "Night lights" che, scemando lentamente, ci conduce alla fine di un disco da possedere nella maniera più assoluta e adatto veramente a tutti i palati.