"Credo che il futuro sia nuovamente il passato che entra attraverso un altro ingresso..." - (Arthur Wing Pinero)
Assioma indiscutibile o semplice necessità espressiva, per i canadesi Black Mountain il recupero di ciò che è stato rappresenta indubbiamente una stabile base su cui costruire la propria arte.
Attivi dal 2004 nella sotterranea (e sottovalutata) scena di Vancouver, e con un promettente debutto all'attivo, il quintetto facente capo a Stephen McBean decide che è ora di fare sul serio pubblicando "In the future".
"Tyrants" irrompe con una cavalcata roboante che presto cede il passo ad echi di pinkfloydiana memoria, fra scissioni umorali, dinamismo cristallino e cantato vibrante; delittuoso non assecondarne ogni singola inflessione nel dedalo infinito di pieghe e angoli, così come non apprezzare la coesione della sezione ritmica in una "Wucan" ispirata, orientaleggiante e maledettamente catchy.
Chiude la pastorale "Night walks" e, sbigottito, non puoi esimerti dal sussurrare... "Ma in che anno siamo...?"
Riffone che più settantiano non si può nelle sue reiterate variazioni sul tema, cori femminili inquieti, synth e organo scuola Deep Purple, definiscono l'incalzante opener "Stormy High", alla quale la sorniona "Angels" si contrappone immediatamente col suo andamento Brit-Rock e le voci simbiotiche dei due singers.
Il Neo-folk mozzafiato di "Stay free" sfavilla per compiutezza e ci ospita in un Universo talmente accomodante che solo la maiuscola prova vocale di Amber Webber in "Queens will play" riesce a non farci rimpiangere.
"Evil ways" con le sue chitarre nervose e la simil-Bowie "Wild wind" sono il viatico ideale per i 17 minuti labirintici in cui ci imprigiona una "Bright Lights" che miscela Space Rock, Rush e rumorismo come un alchimista in esilio al centro della Terra.
Atmosfere ora distese ora minacciose, liquide e poi sospese; ti domandi quale sarà la prossima mossa e puntualmente vieni spiazzato.
Ipnosi e delirio da vivere almeno una volta.