martedì 25 aprile 2017

dEUS - "Worst Case Scenario" - 1994






Eleganti sciamannati, nevrotici di buon gusto, esegeti dell'obliquità; quante e quali altre improbabili definizioni potrei tirare in ballo per FALLIRE nell'intento di descrivere i dEUS, qui immortalati al momento del loro folgorante debutto discografico?
Possibile che questo "Worst Case Scenario" sfugga e rifugga ogni catalogazione, scorrazzando libero e felice nella Terra di Nessuno?
Insomma, senti il violino e spari a colpo sicuro sui Velvet Underground, salvo poi accorgerti che "Suds & Soda", singhiozzante, sfrontata, con quel "Friday" reiterato con fanciullesca cocciutaggine, riesca a fagocitare elementi quasi antitetici, prima che un debordante hammond sommerga la smania della strofa e l'ariosità del refrain.

Dispersa tra Funk e Jazz inacidito la titletrack evolve fumosa, grumosa, narcotizzata dal sax e dalla voce infida di Tom Barman.
Notevole il finale all'insegna dello sfascio.
"Jigsaw You", col suo delizioso arpeggio, pare interrompersi sul più bello, cedendo il passo al delirio organizzato du una "Morticiachair" in cui gli spigoli delle chitarre vengono smussati da un giro di basso godibilissimo, mentre i piatti tintinnano vigorosamente nel chorus indiavolato.



"Via" parla la lingua dell'alternative americano più "classico", stampandogli però una carta d'identità nuova e tutta europea.
La meraviglia inestinguibile e persa nel tempo di "Right as Rain" commuove come la più caliginosa e cigolante delle danze nel vuoto. Silenzio.
Per favore.

Bella tesa e sregolata il giusto, "Mute" precede l'emozionale crescendo post-rock di una "Let's Get Lost" rugginosa, muscolare, in cui la band fiamminga, dopo un inizio placido, mette in mostra un temperamento tutt'altro che docile.
Radiofonica, ma non scontata, canticchiabile, ma non prevedibile, "Hotellounge" sta alla ciurma di Anversa come "Where Is My Mind" sta ai Pixies.
E no, non ho bestemmiato.
Brano coinvolgente che assieme alla deviata "Great American Nude" consolida il senso di FOLLE LEGAME che intercorre fra i cinque musicisti belgi.

L'alt-country tutto slide e accordi aperti di "Secret Hell" parte in punta di piedi per non disturbare, ma fortunatamente (e al quarto bicchiere...) se ne sbatte e alza la voce in un finale al quale è impossibile non unirsi ogni stramaledetta volta.
L'ubriaca "Divebomb Djingle" chiude barcollando un album a cui trovare punti deboli è pratica caldamente sconsigliata.
Molto più salutare lasciarsene conquistare un passo per volta venendo, peraltro, lautamente ricompensati.