venerdì 17 marzo 2017

Silversun Pickups - "Carnavas" - 2006






Delle pressoché infinite peculiarità per starmi tremendamente sulle palle, i Silversun Pickups le hanno praticamente tutte.

Gli tiri un'occhiata veloce e ti prende l'impulso di perquisirgli le tasche alla ricerca del pezzetto di carta strappato dal palo della luce.
Numero di cellulare in grassetto, diviso da una matrice che poteva recitare più o meno così: "CERCASI FRONT-MAN BELLOCCIO, BASSISTA DALLE GAMBE CHILOMETRICHE, BATTERISTA DI ORIGINI ASIATICHE, E TASTIERISTA NERD-CASUAL CHIC PER FORMAZIONE ROCK, VARIE INFLUENZE, LOS ANGELES"
Ecco, appunto; VARIE INFLUENZE.

Sin dall'opener "Melatonin", Dream-Pop innervato da tentazioni noise ed elettronica dosata con criterio, ci rendiamo conto del peso specifico che gli anni '90 possono avere esercitato sulla band capitanata da Brian Aubert.

Il riffone sabbathiano (e per osmosi) smashinghiano che imperversa sulla batteria sempre fantasiosa dell'ottimo Guanlao, fa di "Well Thought Out Twinkles" un pezzo ad impressione istantanea, da riascoltare fino alla noia.
E' poi ancora il minuto drummer ad ergersi sugli scudi fra i controtempi di una "Checkered Floor" dai due volti.

"Little Lover's So Polite" si basa su un giro deliziosamente semplice a sostegno di un cantato strappato che, coadiuvato dalla voce della bella Nikki Monninger, crea squarci apprezzabilissimi. Lineare, ma dannatamente catchy.

Ricercata ed emblematica del Silversun-pensiero, "Future Foe Scenarios" è una composizione stratificata in cui, come spesso accade, la forma canzone viene accantonata a favore di crescendo dinamici ed organici.

Il basso pachidermico della dilatata, ma sporca "Waste It On" precede in scaletta l'ennesimo "omaggio" a Corgan&Co, quella "Lazy Eye" fottutamente ruffiana, che ti si incolla addosso e (sì!!!) ti sorprende col suo gioco di vuoti e pieni, con la sfuriatina alla Jared Leto nel pre-finale e con quel suo essere Shoegaze, Pop e Noise senza fartelo pesare.

La glitterata e seducente "Rusted Wheel" ci accompagna verso una "Dream at Tempo 119" in cui i Nostri, a modo loro, mostrano i muscoli, intervallando ritmiche discretamente potenti ad un rumorismo lieve.
Malinconica e rarefatta electro-ballad è invece "Three Seed", impreziosita da intarsi chitarristici tutt'altro che dozzinali.

Il ritornello bubblegum di "Common Reactor" chiude un disco che sarebbe anche potuto durare quei 4-5 minuti in meno e nessuno avrebbe obiettato ma che, in un 2006 tutt'altro che fecondo in termini di uscite di rilievo, la sua porchissima figura la fa eccome!
Ovviamente, in questo mondo perfetto, quasi nessuno se li è filati...