domenica 30 ottobre 2016

Counting Crows - "This Desert Life" - 1999

Non desidero una rosa a Natale più di quanto possa desiderare la neve a maggio: d'ogni cosa mi piace che maturi quand'è la sua stagione." - (W. Shakespeare)

Chi di noi non si porta dietro una zavorra di convinzioni, certezze e fissazioni?
C'è poco da fare; la si utilizza come ideale contrappeso all'insicurezza, all'instabilità. Incasellare oggetti, persone o sentimenti li rende magicamente più agili da gestire ed il "trucco" funziona a meraviglia anche con la musica.
Un esempio?
Più tento di evadere dalla prigione d'idee dentro la quale i primi 4 album dei Counting Crows risultano STAGIONALI e meno vie di fuga trovo per dimostrare che sbaglio.
Come foglie secche di betulla che lastricano il terreno d'ocra e vinaccia, "August and Every After" del 1993 richiama l'autunno tanto quanto l'affranto "Recovering the Satellities" del '96 e il disinvolto "Hard Candy" del 2002 rilascino rispettivamente umori invernali ed estivi.

"This Desert Life" suggella il mio reticolo associativo/assertivo mettendo assieme 10 brani come un fioraio assemblerebbe un mazzetto di papaveri e bucaneve.

Battiti di mani ed un rilascio endorfinico rapidissimo scandiscono l'opener "Hanginaround", che muovendosi randagia e bohémien, rinfresca la lezione impartita dai The Band esattamente 30 anni prima, così come la VanMorrisoniana (e un po' prolissa...) "Mrs. Potter's Lullaby", forte di una prova corale convincente, fuga ogni dubbio sulle radici della crew agli ordini di Adam Duritz.

Ed è proprio il singer nativo del Maryland a fornire una prestazione vibrante nella liquida e consolatoria ballad "Amy Hit the Atmosphere", a cui succede una "Four Days" molto R.E.M.-oriented e divorata dalla nostalgia.

"Amy ha raggiunto l'atmosfera, è salita su un razzo
ed è volata via da questa strada
e non tornerà più, temo.
Ma ogni volta che piove lei si sente molto meglio.
E questo è tutto quello che davvero importa."

Finemente cesellata, fra archi tutt'altro che accessori e un'improvvisazione chitarristica più che piacevole, la dinamica "All my Friends" fa da contraltare al mezzo pasticcio di "High Life", prima che la fragilissima e stratificata "Colorblind", aleggiando su un cumulonembo di pianoforte, ci rammenti l'aridità della solitudine.


"Io sono coperto di pelle
e nessuno prova ad entrare.
Tirami fuori da qui dentro,
sono piegato e non piegato e ripiegabile.
Io sono...cieco ai colori..."

"I Wish I Was a Girl" è un eccitante affresco Indie-Rock che combina una strofa godibilissima ad un refrain illuminato da chitarre guizzanti come anguille. Irresistibile.
L'autodistruzione affettiva è il tema portante dell'acquerello sonoro intitolato "Speedway", che precede in scaletta la conclusiva "St. Robinson and His Cadillac Dream".
Le strade, nel corso dell'esistenza, si possono dividere a causa di differenti aspirazioni e questo Country tutto banjo e hammond sembra piazzato qui per ricordarcelo.

"This Desert Life" resta l'album meno conosciuto, venduto e, probabilmente, meno rappresentativo dei 7 di S. Francisco, ma che vi devo dire...funziona!!!
In autunno come in primavera...